Il bagliore che ti irradia già all’ingresso ha caleidoscopiche trame, il respiro delle vetrate a tutta altezza schermate da quinte di carta di riso – che anticipano il formalismo estetico orientale e gli accenti di gusto – i volumi ariosi, i vedo-non-vedo della magnifica cucina oltre i riflessi olografici di demarcazione che ti distraggono fino alle golose chips, ammalianti al primo assaggio.
Frecce di Cupido scoccate dalla cucina in un fluire alchemico di aromi e temperature algide dei sorbetti, che ti saranno compagni d’esperienza sensoriale.
La relatività del tempo sancita dalla clessidra a tavola e nell’apprezzare lo svelarsi delle composizioni finger di fine estate, la perfezione formale e la polifonia dei sapori delle spugnette soffici alla paprika affumicata intarsiate di guacamole e delle praline di tzatziki.
Il gambero rosso di Sicilia elevato al nirvana dalla cottura-non-cottura, nello specchio della dolcezza minerale del gelato di rapa rossa, voluttuosamente risolto nel taco di amaranto e spuma di olio evo.
Canestrelli esaltati dal ferro e incupiti dalla liquirizia, restano incisi nella memoria dei desideri, solleticando il palato con i germogli mai così opportuni.
I finferli, integri nella loro struttura, conservano identità nel brio fruttato dell’agro di lampone, malgrado la forza a tratti coprente della crema di nocciola.
Un dialogo convincente tra anguria e melanzana alla plancha, la freschezza del cetriolo e del ginger a sintetizzare il dinamismo e il dualismo dolce-salato vegetale.
I conchiglioni come alter ego delle architetture nella nuova Milano: dichiarano indipendenza nella cottura anticipata che ne lascia esprimere l’integrità e la dolce essenza del grano. Personalità che si contrappone alla fluidità clorofillica e quasi amara e pungente dell’achillea e del rafano, risolvendosi nella rotonda armonia della salsa di vitello.
Più rigore servirebbe nello sfilettare l’anguilla, che trova comunque espressività nella cottura; intrigante nella salsa di latte di capra e barbabietola e nel croccante brio del riso selvaggio pop.
Il carosello dei dessert inizia con la sensualità del gelato al cocco, fotografato nell’esotismo più raffinato. Segue una metamorfosi di pomodoro Datterino e la girella di mango al tè affumicato.
La folgore definitiva giunge con la granita al basilico: ti trasporta coi sensi sugli scogli di granito rosa della Sardegna, rimandi salmastri di brezza e dolcezza in un assaggio di cremoso al pistacchio, gelato ai capperi e pistacchi salati pralinati.
Non si conclude con le perle di Americano servite in cucina, sono lo spunto per un saluto allo chef Claudio Catino, intrattenuti dal maestro di sala Lorenzo Sica.
Un perpetuo ricordo nei cadeaux che profumano di tè Matcha e cacao, riflessi indelebili che ti riporteranno alla tavola di chef Andrea Berton, emblema di leggiadra perfezione, stile, raffinatezza evocativa e rigore che sa essere ludico e gioioso.
Ristorante Berton, Milano.
http://www.ristoranteberton.com/it/